Cinema Italiano: “Il festival è comunity”, intervista a Paolo Lipari



Multisala, centinaia di canali tv e rete, le occasioni per vedere film non mancano di certo, ma le sale cinematografiche cittadine sono, nell’epoca del consumo di cinema fatto spesso individualmente, un luogo imprescindibile per la costruzione dell’identità e del dialogo di una comunità sociale.
A Como è il Cinema Astra la sala della comunità secondo Paolo Lipari che, da dodici edizioni, ha trovato all’Astra la residenza del festival dedicato al cinema italiano di cui è l’ideatore e il curatore insieme alla figlia Francesca, e il festival prova a metterci del suo scommettendo sulla sopravvivenza della sala puntando sulla sua valenza di autentico presidio culturale per Como.
IL CINEMA ITALIANO 12. FESTIVAL A COMO porta 14 film in concorso tra il 28 gennaio e il 5 febbraio, un programma tra i più belli di questi anni – dice Lipari – qualità di proposte altissima, ospiti di portata storica (Ottavia Piccolo e Marco Bellocchio su tutti), e giovani cineasti e attori incredibilmente bravi.
I giovani sono l’altra fiches che si gioca il festival con il rapporto ormai consolidato con il mondo della scuola a cui sono dedicate le proiezioni del mattino, e con il legame al progetto di Fondazione Comasca “Non uno di Meno” che svolge azioni di contrasto alla dispersione scolastica.
“Ecco dispersione è una parola a cui fare sempre più attenzione per il futuro della società – dice Paolo Lipari – disperdere è sinonimo di dissipare ed è il contrario di riunire, e il festival così come il Cinema Astra vogliono andare proprio in questa direzione: mettere insieme le persone, valorizzare il capitale umano.
IL CINEMA ITALIANO 12. FESTIVAL A COMO parte domani alle 17 con “Il fiume ha sempre ragione” e la presenza all’Astra del regista Silvio Soldini. Qui programma e dettagli del festival
Una novità dell’edizione numero 12 del Festival è la collaborazione con Parolario per l’ incontro inaugurale .
“Il fiume ha sempre ragione” è un documentario sulla magia delle parole incentrato sulla figura di Alberto Casiraghy, di Osnago nel lecchese. Casiraghy, così come il ticinese Josef Weiss non sono due artisti nel senso che comunemente intendiamo. La loro arte è quella della tipografia. Arte che a dispetto dei tempi continuano a intendere e a esercitare come pratica della manualità, come lavoro artigianale. Casiraghy è un uomo di poesia, aneddoti e aforismi (uno dei quali ha dato proprio il titolo al film). La sua casa dice molto di lui: è piena di foto, disegni, memorabilia, statuette, cimeli vari, ma soprattutto tanti tanti libri e lettere manoscritte. Oggetti carichi di significato, ognuno con una propria storia. Molti artisti, disegnatori e poeti si fermano nella sua bottega a Osnago e insieme a lui stampano le loro opere per mezzo del suo gioiellino, la sua reliquia sacra: una stampante meccanica a caratteri mobili. Josef è grafico e restauratore di libri. Il suo atelier a Mendrisio in Svizzera nel Canton Ticino viene definito da Casiraghy, con l’acume che lo contraddistingue, un “convento laico”, a sancire l’aura di sacralità che avvolge il lavoro dell’artigiano. La dedizione e la poesia con cui praticano la loro arte è ciò che accomuna queste due adorabili figure.
Al Cinema Astra saranno presenti il regista e i protagonisti Alberto Casiraghy e Josef Weiss, maestri tipografi.
Silvio Soldini, autore con un’esperienza consolidata nel cinema documentaristico che ha avuto inizio nel 1986 con Voci celate, realizza un ritratto di due figure dei nostri giorni che consapevolmente hanno deciso di non smettere di praticare la stampa e la grafica contro le logiche moderne che allontanano sempre di più dall’apporto umano. L’arte manuale è invece viva, vissuta, autentica, e proprio per questo talvolta anche piacevolmente fallace.
Il regista milanese osserva i due poeti della tipografia in silenzio, seguendoli nella loro quotidianità. Con la stessa cura con cui Josef piega carta e cartoncino per riaccomodare un libro, taglia e cuce le carte e rifinisce i colori per la stampa, Soldini intesse un racconto fatto di dettagli e attenzione al particolare, esaltando la poesia della manualità ad esempio stringendo sulle mani operose di Josef (“anche un panettiere può essere un poeta”). La colonna sonora è affidata ai micro rumori ambientali, ai fruscii dei polpastrelli che scorrono sulla carta mentre viene piegata, stesa, fin accudita, e dai rumori sferraglianti, ma mai troppo invasivi, della macchina a caratteri mobili. Il documentario alterna in maniera molto armonica e complementare le sequenze nelle botteghe dei due tipografi. Così il regista struttura il film come il piegarsi di un foglio di carta che man mano mostra prima un lato poi l’altro.