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COOKIN’ MUSIC #016

1 aprile 2021 | 13:11
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Musica nuova in cucina con i tre chef di COOKIN’ MUSIC: Cristiano Paspo Stella, il cantautore, Massimiliano Pini, il cuoco clandestino e Piergiorgio Ronchi, il beer sommelier, apparecchiano un menù in tre portate partendo da una canzone

#016 La luna e i falò Ernesto Bassignano

Finiamo con uno sguardo importante, siamo a Roma, periodo folk studio, il titolo del disco è di quelli tosti, quello che ti rimandano a Cesare Pavese… Lui è uno dei 4 ragazzi con la chitarra e un pianoforte sulla spalla… No, non parliamo né di Venditti, né di de Gregori e nemmeno di Giorgio lo Cascio…parliamo di Ernesto Bassignano e il disco in questione è la luna e i falò.

Di origine piemontesi, ma nato a Roma, dopo i primi anni nella capitale, il ritorno a Cuneo e poi di nuovo a Roma. Conclusi gli studi impara a suonare la chitarra da adolescente, questo lo fai poi accostare alla canzone politica – basilari le influenza di Fausto Amodei e i Cantacronache.

Quindi studente di scenografia all’Accademia di Belle Arti, tra il 1966 e il 1968 è tra i protagonisti come attore, cantante e compositore del gruppo Teatro Politico di Strada, di cui fanno parte anche Edmonda Aldini e Gian Maria Volonté. L’anno successivo entra a far parte del cast fisso del Folkstudio, dove ha modo di proporre le sue canzoni e dove conosce altri giovani cantautori come Ludwig, Edoardo e Stelio, ed i più giovani Francesco De Gregori, Antonello Venditti e Giorgio Lo Cascio. È appunto con questi ultimi tre che nel 1971 si unisce nel gruppo I giovani del folk (anni dopo Venditti ricorderà quest’esperienza nei versi iniziali della canzone Notte prima degli esami, e Bassignano scriverà un libro, Canzoni pennelli bandiere supplì con il racconto delle vicende di quel periodo). Entra quindi nel PCI.

Il suo debutto come cantautore solista avviene con un Ep pubblicato proprio dal Partito Comunista, distribuito fuori dai normali canali. Approda quindi alla Ariston, con un disco dal forte contenuto politico e militante. Passa alla RCA Italiana, con un disco la cui title track (Moby Dick è un duro attacco alla Democrazia Cristiana (la balena bianca è appunto il nome con cui viene indicata la DC fino agli anni di Mani Pulite).

Cambia di nuovo casa discografica (la It di Vincenzo Micocci) divenendo produttore e scoprendo e lanciando, tra gli altri, Sergio Caputo; inizia anche la carriera di intrattenitore radiofonico, conducendo molti programmi in Rai, e quella di critico musicale presso Paese Sera.

Siamo negli anni ’80, nonostante gli impegni non abbandona l’attività di cantautore; arriviamo a La luna e i falò dove torna a collaborare con De Gregori, che suona l’armonica a bocca nel brano Stelle da rubare. Negli anni successivi (a cavallo del 2000 fino alla prima decade del nuovo millennio) lo vediamo Radio-Uno-Rai, prima, poi a Radio Città Futura con la trasmissione Radio bax, nel paese degli struzzi, Rodeo.

Piatto: un brano in cui ricorre il … sale – ma quanto lo conosciamo? Facciamo un po’ di storia e poi arriviamo al nostro tema le SALAMOIE.

Il sale è fondamentale per la vita umana: necessario come l’acqua. E’ alla base di molte funzioni fisiologiche. Senza sale ci disidrateremmo. E’ infatti fondamentale per mantenere l’equilibrio dei liquidi nel corpo, l’equilibrio acido-basico e la trasmissione degli impulsi nervosi.

L’uso del sale ha origini antichissime: 10.000 anni fa, nel Neolitico, con la rivoluzione agricola, in cui si modificò profondamente lo stile di vita dell’uomo, da cacciatore-raccogliere nomade a contadino e allevatore stanziale. … E’ dunque, come detto sopra, nel Neolitico che il sale entrò a far parte dell’alimentazione umana principalmente come conservante.

E qua siamo arrivate – il sale è uno dei principali metodi di conservazione, ovvero avere la possibilità di variare la nostra alimentazione sfruttando i benefici di un alimento (conservato) nei successivi periodi dell’anno (cosa che la GDO e la globalizzazione si ha, purtroppo, fatto scordare) ma che visto in un’ottica modernista ci fa riappropriare della nostra: potestà alimentare.

La produzione e l’autoproduzione, di conseguenza tutti i processi conservativi ci consentono il controllo di tutta la filiera, ovvero scegliamo quali ingrediente utilizzare, sappiamo dove è stato coltivato (magari prodotto da noi stessi) e quindi adottare il migliore processo di conservazione per poterlo gustare.

E qua arriviamo alla probiotica, ovvero quell’antica conoscenza della fermentazione delle verdure che può migliorare notevolmente la nostra salute. Il consumo delle verdure fermentate risale ad almeno il 6000 a.C. secondo i ritrovamenti nella Mesopotamia, e ci sono testimonianze in ogni cultura fino ai giorni nostri, quando l’avvento dei cibi raffinati e industriali ha preso il sopravvento sui veri alimenti che hanno nutrito e mantenuto in forza e salute l’uomo per migliaia di anni. Dai greci, ai romani passando per l’Asia e arrivando in America, tutte le popolazioni hanno nella loro cucina tradizionale cibi fermentati. La fermentazione è nata come un metodo per conservare gli alimenti ma è molto più di questo. Leggiamo che:

“I prodotti fermentati migliorano la salute del tratto gastrointestinale, riducono le manifestazioni allergiche nei soggetti predisposti, riducono l’incidenza di alcune tipologie di cancro. E non pochi studi confermano il valore degli alimenti fermentati.”

Il processo della fermentazione innesca tutta una serie di trasformazioni nel cibo cambiandone radicalmente le caratteristiche nutrizionali in modo altamente positivo in quanto vengono generati enzimi benefici, aumenta il contenuto vitaminico, si creano grassi di tipo omega-3 e si sviluppano appunto batteri probiotici, antiossidanti e il diventa assimilabile e biodisponibile per l’organismo. Insomma un SUPER FOOD.

Un beneficio per il nostro corpo e per il nostro intestino (che qualcuno chiama il secondo cervello dell’uomo) infatti l’85% del sistema immunitario risiede proprio nel nostro intestino insieme a 100 mila miliardi di batteri che permettono la vita… in caso di un peggioramento, dovuto a malattia, stress, cattiva alimentazione e fattori ambientali della salute del nostro intestino e quindi del nostro corpo gli alimenti fermentati arrivano in nostro aiuto: kefir, crauti e altre verdure, kombucha, yogurt, miso, aceto di mele.

Il piatto: Kimki coreano. Un piatto tradizionale coreano preparato con verdure fermentate e spezie.

Tagliate il cavolo cinese in quattro parti e affettatelo in fette di circa 3 cm di spessore. Mettetelo in una ciotola capiente con acqua fredda e sale (fate una parte di sale per dieci parti di acqua – anche se qualcuno consiglia di arrivare a tre parti di sale per ogni dieci parti di acqua) e lasciate riposare per almeno 2 ore. In un’altra ciotola unite insieme il peperoncino, l’aglio e lo tritati e un battuto di alici sotto sale. Unite anche il cipollotto e i ravanelli tagliati a fettine e mescolate.

Trascorso il tempo necessario, prelevate il cavolo dall’acqua e sale, sciacquatelo bene sotto acqua fredda e mescolatelo insieme agli altri ingredienti. A questo punto bisogna attivare la fermentazione: mettete il composto realizzato all’interno di un barattolo sterilizzato con chiusura ermetica, e aggiungete acqua fino a coprire il tutto. Lasciate riposare per 5-6 giorni, o fino a quando non si formeranno delle bolle: è il segnale che la fermentazione è avvenuta nel modo giusto. A questo punto potete gustarlo da solo o come contorno per pietanze di carne o di pesce.

La birra acconcia parliamo di birra … in salamoia. Tenete presente che un accidentale retrogusto di salamoia è un difetto nella fabbricazione (specie nell’homebrewing) della birra se non una vera e propria contaminazione. Ma le birre in salamoia esistono per davvero.

Infatti la fermentazione mista delle Flemish Sour Ale costituisce un gruppo di birre prodotte a Bruxelles e nelle Fiandre Occidentali, particolarmente amate da chi vuole una birra stagionata.

La produzione di birre e la conservazione delle verdure in salamoia sono unite per realizzare queste preparazioni, ovvero la compresenza di microrganismi di origini diverse che assommano, nel processo di preparazione, in una affasciante gamma di complessità e varietà di sapori.

Birre red e brown invecchiate in rovere per lunghi periodi di tempo, anche anni, e poi tipicamente miscelate con birra “più giovane” dello stesso stile per bilanciare il sapore acido e aspro. Birre decisamente complicate e sfidanti ma che esalteranno certamente piatti e palati.