L’industria della moda dice “Lugano addio”

23 marzo 2016 | 15:14
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L’industria della moda dice “Lugano addio”

Anche la moda italiana aveva la sua Silicon Valley. Un’area capace di attrarre e sviluppare aziende, divenendo un distretto ad alta specializzazione e concentrazione. La particolarità di questa valley era che si trovava tra Lugano e Chiasso, al di là delle frontiere svizzere. La ‘Fashion Valley’ in pieno Canton Ticino ha rappresentato per lungo tempo un polo attrattivo per le aziende del settore moda, interessate a beneficiare di una serie di vantaggi, principalmente fiscali, e disposte a trasferirvi le proprie attività o parte di esse. Ma, adesso, questo ruolo di richiamo sembra essere messo in discussione da quelle stesse compagnie che da anni investono sul territorio.

Panbianco Magazine, rivista specializzata in moda e design, ha trattato l’argomento nel numero del 14 marzo scorso e ve ne riportiamo alcuni passaggi.

[…] C’è chi parla addirittura di ‘reshoring’ dalla Svizzera all’Italia, e nello specifico alla Lombardia, delle attività industriali e commerciali del comparto fashion. Ad accendere i riflettori sul fenomeno è stata la vicenda Armani: stando alle notizie trapelate nell’ultimo periodo, pare che il marchio intenda chiudere i battenti dello stabilimento di Mendrisio, la Swiss Branch, per tornare a Milano. L’azienda, contattata da Pambianco Magazine, non ha condiviso alcun dettaglio, ma si fanno sempre più insistenti le voci di un trasloco di tutte le attività nel capoluogo lombardo. La chiusura dovrebbe essere effettiva a partire da aprile, e comporterebbe il trasferimento dei dipendenti di tutti i settori, dalla logistica al servizio doganale fino al recupero crediti. I media locali riportano le valutazioni di autorità cantonali e sindacato, secondo cui i dipendenti, oltre al cambio di luogo di lavoro, rischiano anche consistenti adeguamenti (al ribasso) dello stipendio. E il timore è che nel breve periodo altre aziende del settore seguano l’esempio di Armani. In effetti, altri scricchiolii arriverebbero anche da Hugo Boss, che starebbe già avviando una riorganizzazione, e da Prada, che sono in molti a dare in partenza dalla zona (anche in questo caso l’azienda, interpellata da Pambianco Magazine, non ha rilasciato commenti in merito).

fashion valley ticino

I politici locali si sono già mobilitati: l’‘addio’ di Armani, che si è insediato a Mendrisio oltre vent’anni fa, vedrebbe la cittadina perdere uno dei suoi maggiori contribuenti. In zona, negli anni, sono arrivati diversi marchi della moda, interessati a stabilirvi soprattutto gli uffici di gestione logistica, finanziaria e commerciale: Armani, Gucci, Versace, Prada, Ermenegildo Zegna (quest’ultimo è stato il pioniere, con l’arrivo in Ticino nel lontano 1976). E poi Hugo Boss, Timberland, Abercrombie&Fitch, Guess, North Face, Philipp Plein e altri ancora, tutti attratti dalla certezza del diritto, dalla burocrazia contenuta, dalla fiscalità moderata e dal mercato del lavoro flessibile e aperto. Il fenomeno è iniziato 30 anni fa, ma negli ultimi anni si era fatto più consistente, tanto che stando alle stime di Ticino Moda, l’associazione che raggruppa le imprese del settore, il distretto elvetico della moda oggi impiega 6mila persone, e assicura al Cantone 90 milioni di gettito fiscale su un totale di 340 milioni di imposte pagate dalle persone. Il fatturato complessivo che arriva dal fashion, secondo indiscrezioni, sarebbe vicino ai 10 miliardi di euro.

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CAMBIO DI SCENARIO
Ma qualcosa è cambiato. L’indebolimento del franco nei confronti dell’euro, oltre alle difficoltà sui mercati russo e cinese, sarebbero all’origine della decisione delle aziende di abbandonare il territorio. Pare giocare un ruolo chiave anche il ripensamento della politica fiscale, con la cosiddetta riforma III delle imprese che, in linea con gli standard internazionali, intende porre fine alla differente imposizione degli utili delle società svizzere ed estere applicata dai Cantoni, e che si traduce effettivamente in un aumento delle imposte per le aziende che finora hanno beneficiato di regimi fiscali speciali. Secondo i sindacati, altri casi di dietrofront e disinvestimenti nel Cantone potrebbero arrivare: questi anni, evidentemente, non sono bastati per sviluppare una responsabilità sociale o un attaccamento al territorio sufficienti. E, forse, nel frattempo la Lombardia è tornata a sembrare appetibile. “Sul nostro piccolo territorio, il ramo del tessile e dell’abbigliamento si è reinventato più volte negli ultimi decenni. Probabilmente siamo di fronte a una nuova svolta. Spetta agli imprenditori decidere come affrontarla”, spiega a Pambianco Magazine Marina Masoni, presidente in carica di Ticinomoda e fino al 2007 ministro delle Finanze del Canton Ticino. “Non penso che si possa dare un’indicazione univoca sulle ragioni di questo riassetto. Per le aziende che sono tassate con le aliquote ordinarie, per esempio, la riforma III delle imprese non avrà certamente effetti negativi: al contrario, dovrebbe portare un miglioramento, qualora l’aliquota di imposta sugli utili venisse ridotta, come è nelle intenzioni del Governo. Ci sono ragioni strettamente di mercato che portano singole imprese ad adattare e rivedere le proprie strategie”. Al di là delle motivazioni specifiche dietro l’abbandono del Cantone, sembra che il sogno della Fashion Valley stia sfumando. E c’è già chi pensa che per l’Italia questa potrebbe essere finalmente l’occasione giusta per tornare ad attirare gli investimenti e i capitali dell’industria della moda. Senza più stare a guardare i tir carichi di abiti caricare e scaricare a un passo oltre i nostri confini.