L’Italia in crisi nello spettacolo diretto da Serena Sinigaglia al Sociale

Un felice ritorno a Como. Il 10 aprile per la rassegna CTL, il Teatro Sociale propone un nuovo lavoro della geniale regista Serena Sinigaglia che lo scorso anno ha firmato l’opera Cavalleria Rusticana per il progetto 200.com incantando l’intera città.
“Italia anni dieci” è la storia corale di alcuni personaggi emblematici per raccontare cosa siamo diventati: un industriale sull’orlo del suicidio e la sua signora, schiava delle apparenze, una madre protettiva, una figlia eterna disoccupata, un insegnante di salsa, un intellettuale allo sbando e una badante albanese. Mentre la crisi economica, spietatamente, li denuda, i loro destini si intrecciano. In una società dove tutti i riferimenti stanno per saltare, dove le sicurezze del passato non esistono più e sul futuro si addensano nubi che nessuno ha il coraggio di scandagliare, le persone si muovono alla cieca, aggrappandosi a qualsiasi cosa che sembri una certezza per non affondare. Come in un film che gira al contrario, i segni s’invertono: non si lavora più per essere pagati, ma si paga per lavorare. E si balla sulla macerie invece di raccoglierle e provare a ricostruire.
Cinico, nevrotico, spietato, ma anche tenero e comico, “Italia anni dieci” porta lo spettatore nell’occhio del ciclone. E facendolo vorticare nel dramma, restituisce un’immagine caleidoscopica e indelebile della crisi che stiamo attraversando.
Teatro Sociale di Como –venerdì, 10 aprile – ore 20.30
ITALIA ANNI DIECI di Edoardo Erba
Regia Serena Sinigaglia
con Mattia Fabris, Stefano Orlandi, Maria Pilar Pérez Aspa, Beatrice Schiros, Chiara Stoppa, Sandra Zoccolan
Musiche Gipo Gurrado
Scene Maria Spazzi
Costumi Federica Ponissi
Attrezzeria Maria Paola Di Francesco
Luci Alessandro Verazzi
Produzione ATIR
Biglietti in vendita sul sito www.teatrosocialecomo.it e alla cassa del teatro.
L’Italia anni dieci vista da Serena Sinigaglia
Così recita Amleto: “Questo è lo scopo del teatro, quello di porgere uno specchio alla natura, di mostrare alla virtù il suo volto, al vizio la sua immagine, e all’epoca stessa, alla sostanza del tempo, la loro forma e impronta”. Ho sempre pensato che uno dei compiti del teatro fosse quello di restituire alla contemporaneità un riflesso importante.
Niente di più difficile. Difficile perché l’istante appena cerchi di raccontarlo, è già passato. Difficile, sì, perché quando sei dentro fino al collo in una situazione, non riesci a capirla fino in fondo. Eppure è uno sforzo che va affrontato, senza la pretesa di essere esaustivi, ma col desiderio di restituire, nella sua complessità, quello che siamo, forse per imparare, poi, a costruire un futuro migliore.
L’anno passato ho affrontato un testo spagnolo che, in qualche modo, raccontava degli “indignados”, del primo grande movimento di protesta dal basso che si è affacciato sulla ribalta europea pochi anni fà. “Ribellioni possibili” è un testo che parla della crisi e tenta di raccontare come la si possa affrontare, senza restarci intrappolati. E’ un testo naif e per questo volutamente ingenuo. Una favola paradossale e, a tratti, illuminante sul mondo ingiusto e violento nel quale viviamo. Ma la ricerca di raccontare il nostro presente non si esaurisce certo in questo allegro testo spagnolo. Quando ho deciso di portarlo in scena, avevo già molto chiaro nella mia testa il fatto che esso costituiva il primo capitolo di un tema che avrei continuato a declinare per me e per il mio pubblico ancora a lungo. Circa due anni fa ho preso contatto con un autore italiano che stimo molto: Edoardo erba.
Volevo parlare dell’Italia e dell’Italia oggi.
Volevo portare sulla scena uno spettacolo che fosse come il film “America oggi”, uno straordinario spaccato dell’America anni ’90, firmato Robert Altman su testi di Carver. Un film che resta per me una pietra miliare del cinema americano.
Volevo un testo corale che parlasse della crisi, anzi no, del baratro sociale e culturale nel quale siamo caduti e dal quale sembra non riusciamo a rialzarci.
Edoardo ha raccolto la sfida e per ben due anni abbiamo lavorato alacremente a questo testo.
Così è nato “Italia anni dieci”.
Lo porteremo in scena in prima nazionale al Ringhiera.
Italia anni dieci racconta la storia corale di alcuni personaggi, dal nostro punto di vista emblematici per raccontare cosa siamo diventati: un industriale sull’orlo del suicidio e la sua signora, schiava delle apparenze, una madre protettiva, una figlia eterna disoccupata, un insegnante di salsa, un intellettuale allo sbando e una badante albanese. Mentre la crisi economica, spietatamente, li denuda, i loro destini si intrecciano. L’industriale non trova il coraggio di parlare con nessuno dell’imminente fallimento e non trova, pur volendolo, il coraggio di suicidarsi. Su insistenza della moglie, assumerà la ragazza disoccupata, la quale si tufferà felice nel mare del lavoro e della vita senza sapere che l’acqua non c’è più. Finché la madre della ragazza, venuta a conoscenza della realtà, non deciderà di impiegare una piccola eredità per aiutare l’industriale, in cambio del posto fisso per la figlia.
In una società dove tutti i riferimenti stanno per saltare, dove le sicurezze del passato non esistono più e sul futuro si addensano nubi che nessuno ha il coraggio di scandagliare, le persone si muovono alla cieca, aggrappandosi a qualsiasi cosa che sembri una certezza per non affondare. Come in un film che gira al contrario, i segni s’invertono: non si lavora più per essere pagati, ma si paga per lavorare. E si balla sulla macerie invece di raccoglierle e provare a ricostruire.
Cinico, nevrotico, spietato, ma anche tenero e comico, Italia anni dieci porta lo spettatore nell’occhio del ciclone. E facendolo vorticare nel dramma, restituisce un’immagine caleidoscopica e indelebile della crisi che stiamo attraversando.
Accanto a me e ad Edoardo, gli attori dell’Atir, gli stessi che, con coraggio e generosità, hanno dato corpo, anima e voce a Ribellioni possibili. Perché il viaggio di scandaglio di questo presente faticoso e dolente è anche il viaggio di un gruppo artistico che continua, ostinatamente, dopo più di quindici anni, a condividere un progetto e una passione comune, per un teatro “civile”, anzi no, meglio, “politico”, per la gente e con la gente.
Serena Sinigaglia