Cookin' Music

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SE03-07 Eugenio Finardi e Francesco de Gregori/Giovanna Marini da il Fischio del Vapore – Saluteremo il signor padrone

Cristiano Paspo Stella, il cantautore, Massimiliano Pini, il cuoco clandestino e Piergiorgio Ronchi, il beer sommelier, tornano in cucina per la seconda stagione di COOKIN’ MUSIC. Le materie prime sono sempre di grande qualità: musica, food culture e birre dal mondo

 

Piantata in mezzo alla risaia, come la statua di una dèa, rispetto alle altre donne che la circondano, comunica una forza, una grinta, ma soprattutto l’orgoglio 
di essere femmina.

                                                        Luisa Ranieri attrice e conduttrice televisiva italiana 1973 Sulle donne

 

Parliamo di un pezzo e due artisti, anzi tre; il brano è: Saluteremo il signor padrone, un pezzo che venne inciso nel 1975, come singolo, da Eugenio Finardi, presente anche nel Il fischio del vapore della coppia De Gregori / Marini un quarto di secolo dopo. Finardi incise il pezzo, che venne poi inserito nell’album Non gettate alcun oggetto dai finestrini. Da notare che i pezzi erano cantati in lingua italiana (cosa che non abbandonò più) dopo il suo esordio del ’73, ma in lingua inglese, con brani molto più duretti e rockeggianti. Forse il passaggio con la Cramps record lo portò a considerare uno stile più folk-rock molto molto italico.

l fischio del vapore (disco che ho letteralmente adorato e lo considero alla base di un certo combat-folk, per quanto mainstream, dello stivale) è un album inciso da Francesco De Gregori e Giovanna Marini, del 2002; si tratto di una raccolta di canzoni popolari e (e non solo) scritte da cantautori come Gualtiero Bertelli, oppure gli stessi De Gregori e Marini per l’occasione, che ricalcano lo stile della musica folk sia nei testi che nell’accompagnamento musicale.

Il pezzo – dato il suo valore – è stato più volte riprese da artisti noti per il loro impegno: Modena City Ramblers, Gang, Giovanna Daffini, ma già lo era stato da quell’Anna Identici, dopo la sua storica svolta negli anni settanta.

Il testo è un riferimento al lavoro della monda, che consisteva nello stare per intere giornate con l’acqua fino alle ginocchia, a piedi nudi e con la schiena curva per togliere le erbacce infestanti che crescevano nelle risaie e che disturbavano la crescita delle piantine di riso. Gli addetti o meglio le addette alla monda (il lavoro era prettamente femminile) era praticato da persone di bassa estrazione sociale, provenienti in genere dall’Emilia-Romagna, dal Veneto e dalla Lombardia, che prestavano la propria opera nelle risaie delle province di Vercelli, Novara e Pavia.

Nelle risaie di Molinella si ebbero le prime proteste di mondine per l’ottenimento di migliori condizioni di vita, visto che le condizioni di lavoro erano pessime: l’orario pesante e la retribuzione delle donne era molto inferiore a quella degli uomini (sic!). Crebbe ben presto il malcontento che, nei primi anni del ‘900, sfociò in agitazioni e tumulti.

La principale rivendicazione, ben riassunta dalla canzone Se otto ore vi sembran poche, mirava a limitare ad otto ore la giornata lavorativa e riuscì ad ottenere alcuni risultati tra il 1906 e il 1909, quando interi Comuni del vercellese approvarono regolamenti che accoglievano le richieste. Inoltre, le mondine rischiavano numerose malattie a causa delle zanzare e delle sanguisughe, che infestavano le risaie. La situazione di oppressione delle mondine venne alla ribalta anche grazie a Silvana Mangano, che impersonò magistralmente la figura di una mondina, in Riso amaro del 1949. Il film colpì talmente l’immaginario popolare che ispirò canzoni, opere letterarie e successive opere cinematografiche.

 

«Saluteremo il signor padrone

per il male che ci ha fatto

che ci ha sempre maltrattato

fino all’ultimo momen’

 

Saluteremo il signor padrone

con la so’ risera neta

pochi soldi in la cassetta

e i debit da pagar…»

 

(Saluteremo il Signor padrone,
canto popolare poi inciso come singolo
da Eugenio Finardi nel 1975)

 

 Cucina

In cucina il riso è Re. Incredibilmente inserito nella tradizione culinaria italiana – tanto quanto la pasta simbolo nazionale – è necessaria una precisazione: un risotto è tale se il riso viene tostato; altrimenti tecnicamente è una minestra di riso. Lo conosciamo in mille modi e varietà ma i passaggi fondamentali oltre la tostatura sono: la sfumatura, il portarlo a cottura con un liquido (solitamente un brodo) e infine la mantecatura.

 

Vi presentiamo una carrellata di risotti un po’ più particolari rispetto al tradizionale risottino giallo da mangiarsi intanto che si canta oh mia bela Madunina! Con un carpiato, degno di un atleta olimpico, partiamo a un risotto molto in voga negli anni novanta: il risotto con le fragole. Piatto eseguito con riso integrale e condito (appunto) con fragole e pecorino a scaglie. Un risotto bianco; buono anche servito da freddo. Il risotto mimosa – che esalta l’estetica dell’impiattamento, riso carnaroli servito con stracchino, asparagi selvatici, tuorlo di uova sode sbriciolato; è questa la decorazione che richiama il piccolo fiore della mimosa.

Il riso si sposa bene con tutto; vediamo un po’… riso e pesce. Iniziamo con un risotto e calamari, qui ampio utilizzo di spezie e erbe aromatiche: curry, peperoncino, prezzemolo, ancora meglio, coriandolo. Risotto al nero di seppia con pomodori secchi di Puglia, calamari, frutti di mare e piccoli pesci. Per il brodo utilizzate un classico fumetto oppure del dashi giapponese, un brodo lento con alga Kombu e Katsuobushi.

La cucina deve essere anche fonte di divertimento, sia per chi prepara il piatto, sia per chi lo gusta; ecco l’inusuale risotto ai coriandoli; ingredienti protagonisti di questo risotto sono le verdure: zucchine, melanzane, peperoni gialli e rossi, ed anche il prosciutto cotto tagliato a dadini. Un piatto semplice, come semplice è questa altra ricetta: il risotto al limone e pepe, ricetta da vera e propria cucina di urgenza; bastano il riso (naturalmente) un buon pepe nero e un limone non trattato, di cui utilizziamo il succo per condire e piccole zeste ottenute con il rigalimoni; piatto semplice e leggero anche se non banale dato il suo gusto originale e ricercato.

Sempre rimanendo sui pepi; potete spaziare tra le molte varietà, tutte facilmente reperibili: bianco, rosso e verde; proprio quest’ultimo lo mettiamo in abbinata con una crema di piselli, creando un connubio tra la dolcezza, quella della crema e la piccantezza data dal pepe. Se vogliamo più sapore possiamo aggiungere, nella mantecatura, caciotta dolce. Impiattate il tutto sulla base della crema di piselli e ponete sopra un tortino di riso aiutandovi con un coppapasta. [risotto al pepe verde con crema di piselli].

Se il riso è un buono, pochi sono gli ingredienti necessari per il vostro piatto; rimaniamo nella semplicità: risotto rucola, noci e robiola; piatto anch’esso veloce, però ricordatevi sempre di cercare ingredienti di prima qualità. Il piatto abbina la nota piccante della rucola, con il gusto che si fondo al sapoere della robiola e con le noci che donano la giusta croccantezza.

Più sofistica, ma con poco lavoro in più: risotto con crema di melanzane, scegliamo un riso integrale lungo, tipo basmati e abbiniamolo con melanzane cotte al forno o al vapore senza troppe aggiunte e ridotta in crema, regoliamo sempre olio e sale. Nessuna ulteriore aggiunta se non poco prezzemolo/coriandolo e gomasio per finire il piatto.

Level-up: risotto al radicchio con vino rosso, in questa ricetta sfumate il riso con un buon rosso dal sapore forte e deciso. Potete prima bollire il vino per fare perdere la parte alcolica e lasciare la base più odorosa che contrasti il sapore amarognolo del radicchio.

Mille risi e non più mille! Lasciatevi guidare da estro, gusto e fantasia!

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Birra

Birra di riso: il riso è considerato un succedaneo nella produzione della birra, ossia una materia prima sostitutiva al malto d’orzo che serve a portare gli zuccheri alla medesima reazione. Esistono diversi tipi di birra di riso; un ingrediente, per altro, più economico dei cereali. Il riso viene mescolato in percentuali diverse con malto. Questa tecnica viene ritenuta dai puristi po’ discutibile, se non addirittura truffaldina, che però è abbastanza diffusa sia negli Stati Uniti ed in Giappone. C’è da dire che proprio in Giappone il riso è decisamente considerato parte integrante della tradizione nazionale.

A Salerno il birrificio Arechi propone una sua ricetta di birra di riso, praticamente quasi un gluten free, rimanendo comunque nella tradizione e valorizzazione i beni del territorio: dall’acqua dei Monti Picentini, al limone di Amalfi, fino a tutte le varietà di farro locale; reinterpretando storia e tradizione, ma tenendoli sempre come come propri valori distintivi.

Qui la nasce la IPA Silvatica dal sapore fresco e molto dissetante. Possiamo considerare il sake una birra di riso? Il dibattito è aperto. Decisamente non è un liquore o un distillato; non è vino… quindi? Diciamo che il sake… è il sake! Cioè la nota bevanda ottenuta dalla fermentazione del riso e prodotta già nel 1.000 a.C. Una bevanda primordiale ottenuta per fermentazione da chicchi di riso premasticati; questa tecnica venne poi abbandonato con la scoperta del Koji, una muffa utilizzata per la produzione della salsa di soia, che trasforma gli amidi del riso in zuccheri fermentabili.

Tornando alla fermentazione, per l’ottenimento della birra di riso, i chicchi macinati vengono messi in infusione con gli lieviti per diversi giorni, il risultato è una miscela molto torbida, non essendo stati prima bolliti, e decisamente molto alcolica, con un tasso superiore al 25%. Questa è la base ideale per avere un elevato contenuto alcolico e una notevole secchezza che serve al prodotto per bilanciare luppolatura e speziatura. Un consiglio: affidatevi ai microbirrifici, in cui i mastri birrai sappiamo sapientemente bilanciare aromi e sapori piuttosto che a una proposta industriale, forse un po’ troppo piatta e massificata. Salute! O meglio kanpai!

 

 

 

 

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