Cookin' Music

Ascolta, mangia , bevi

SE03-06 Musica Nuova in Cucina – AA.VV. – 2021

Cristiano Paspo Stella, il cantautore, Massimiliano Pini, il cuoco clandestino e Piergiorgio Ronchi, il beer sommelier, tornano in cucina per la seconda stagione di COOKIN’ MUSIC. Le materie prime sono sempre di grande qualità: musica, food culture e birre dal mondo

 

Dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei. Vale lo stesso per la musica…

                                                                                            (Anthelme Brillat-Savarin)

 

Di cosa parlano i musicisti quando si incontrano?

 Di musica? Del nuovo album?

 Di quella collaborazione che poi non è andata in porto,

di quell’intervista pubblicata sul grande settimanale?

Assolutamente no? Allora di concerti, di quello appena terminato? No, quello si liquida in una mezza frase, «Sì, dai, è andata bene» e niente più. E allora? Forse… delle conquiste? Si sa che a bordo palco, strizzando un occhio, interpretando un dato brano con la giusta intonazione e con uno sguardo mirato, si possono mietere vittime, fare strage di cuori… Ma no, passata una certa età nemmeno quello. E allora, di cosa parlano i musicisti quando si incontrano? «Ah, siete stati lì? Ci sono stato l’anno scorso. Fanno un bollito che è strepitoso! No? Ma come non lo avete assaggiato? Ma dove vi hanno portato? Infami! Ma no, la prossima volta chiedi a me: ti consiglio io. Da quello dietro la piazza dovevate andare. Fidati!».

Altro che vantarsi della performance e degli exploit artistici. «Ah, ma lo sai che quei delinquenti neanche la cena ci hanno offerto? Niente! Manco un panino! Per questo siamo qui».

Qui, naturalmente, è l’autogrill, dove si incrociano nel cuore della notte come navi di contrabbandieri al largo, i musici, i cantautori, le anime musicali della notte. E li mappano, li conoscono, li sanno meglio di chiunque. «Là devi chiedere al banco se c’è Rosa. Digli che te ne ho parlato io. Dille di farti la focaccia come la fa a me. Sentirai che roba».

Ci sono artisti che non sono in grado di ricordare su quale disco si trova una determinata canzone ed è sempre meglio non chiedere alcuna data. Ma i concerti quelli sì, li ricordano, ma non per il pubblico, non vi illudete. Neppure per la location, fosse la piazza rigogliosa di meraviglie architettoniche o il palasport super attrezzato. Nemmeno per il service di grande livello. Però…«C’era un camerino bello, con due bagni! E poi ci hanno portato due bottiglie di un vino… Non lo conoscevo questo. Guarda, la fregatura è che ti taglia le gambe: me ne sono accorto solo dopo, sul palco».

Per non parlare delle mangiate epiche al termine della serata, quando il musicista prende possesso del ristorante e, per dirla con uno di loro che non c’è più: «sembrava lui il padrone».

Come fanno a restare magri? Semplice: non ci riescono. Sul palco, complici le luci e sapienti accorgimenti tessili, cercano sempre di fare la loro bella figura, ma quel bel fisico longilineo e filiforme che fu dei primi successi se n’è andato alla centesima trattoria lungo la strada – «Ma no, non chiedere ai camionisti! Quelli ti fregano perché non ti vogliono dire i posti migliori: tu chiedi a me, ti indirizzo io» – lasciando sempre più spazio a una morbida pinguedine vantata senza troppa vergogna. E tutto questo per dire che l’apoteosi dell’artista non è in sala di incisione e neppure tra le assi di un sudato palcoscenico. Nossignori. Metteteli ai fornelli per scoprire ricette tradizionali, «Come li faceva la mamma», «Mia moglie dice che non si fa così, ma io me ne frego: sono più buoni», «Sai cosa? A metà cottura, svaporaci sopra proprio una lacrima di questo bianco: cambia da così a così, fidati».

Ed eccoli qui, allora, i segreti dei nostri Master Chef.

Master, perché è così che si catalogano le registrazioni finite, pronte per la pubblicazione (qualcuno, peraltro, è davvero un mastro anche ai fornelli). Chef perché è difficile immaginarli con il grembiulone mentre controllano il soffritto o mentre estraggono una teglia fumante dal forno utilizzando le presine rosa della bambina (perché, naturalmente, non hanno la minima idea di dove si trovino le cose che gli servono nella loro stessa cucina: è una legge di natura).

Questo ricettario forse non vi farà scrivere belle canzoni né vi spingerà a raggiungere in microfono per ammaliare le audience più svariate. Vi regalerà, invece, svariate ore di piacere culinario e, al prossimo appuntamento con qualcuno di questi cuochi delle sette note, vi darà validi argomenti di conversazione: «Ma sai che io non ci avrei messo il pepe?», “E allora cosa?», «Ma giusto una punta di noce moscata», «Dici? Proverò. Non mi convince molto. E il concerto t’è piaciuto?», «Quale concerto?».

Da l’introduzione al libro a firma Alessio Brunialti

 

TONY PRINCIOTTA

ALFREDO SCOGNA

PAOLO FAN

CRISTIANO P.A.S.P.O. STELLA

RENATO FRANCHI

FEDERICO SIRIANNI

ANDRE PARODI

BOCEPHUS KING

MARTA FERRADINI

FRANCESCO D’AURIA

FRANCO SILANO

GUIDO BERGLIAFFA

PIERO CASSANO

Link al podcast di Spotify: le letture sono degli amici di A Voce Alta di Como.

https://open.spotify.com/show/3y8oXRkzWLXefbpmixfP2w?si=1xHd4fjZQSaTAJxGwkGlKg

 

 Cucina

Difficile anche parlare di cucina prendendo spunta da 13 dico 13 artisti diversi… (sic) scrivendolo il libro, quello che abbiamo notato è di quanto dei nostri performer rimanga nel piatto che proponeva, mille rimandi, sensazioni e ricordi. Esce profondamente la figura materna, appena si arrivava al tavolo e si iniziava a pasticciare con lei, come Franco Silano, andare a fare la spesa insieme per prendere le cozze e il pescato. La persistenza della madre di Alfredo Scogna, con lei che stupisce con la semplicità di un piatto abruzzese dell’agnello cotto sotto il coppo.

L’esser garzone di bottega – per dare una mano alla famiglia – parliamo del più grande hitmaker italiano: Piero Cassano, lui portava i tagli di carne per i quartieri di Genova con la sua vespetta. Il senso complessivo di famiglia, quella di Marta Ferradini, legatissima al padre – Marco, che la prendeva a scuola e la portava a comprare il pane prima di tornare a casa. Profumo di pane = profumo di casa. Gli stessi profumi dei piatti campani di Francesco D’Auria. Il cibo è forma di ospitalità ed accoglienza come nei racconti/ricette di Guido Bergliaffa e ritorna nella mitica figura della ziata di Cristiano Stella, che fa scoprire ai musicisti della band “parti di stomaco che non sapevano di avere”. Ricordi dolci di momenti passati insieme con i nonni nelle valli bergamasche di Paolo Fan, quando era bambino.

La tavola è sempre uno spazio di comunione e condivisione, i genitori di Andrea Parodi ospitano con semplicità (offrendo pasta al pomodoro) Bocephus King, facendogli scoprire come nella semplicità esiste una forma di grandezza. Lo stesso Andrea Parodi parla di persone vere che fanno cose vere nel suo racconto: cevice de pescado. Cibo e sentimento o meglio come il cibo è sentimento, legato a situazioni piacevoli da ricordare quanto a quelle meno gradevoli o proprio da scordare, come nel racconto: piatti caldi e profumati e coltellate al cuore di Renato Franchi.

 Per concludere questo giro di Italia, ma anche di tempi e situazioni diverse, tutte fortemente evocative, Tony Princiotta racconta un tambale di maccheroni, nome che per altro deriva dal francese e significa tamburo, uno strumento musicale. Tutti ci ricordano che la cucina è un dono, (questo lo dice anche Federico Sirianni), un dono prezioso e come tale la dobbiamo rispettare e conservare.

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Birra

Torniamo a birra e musica, se nella precedente puntata abbiamo parlato delle birre prodotti da gruppi e musicisti questa volta vi parliamo del connubio tra le birre artigianali e la musica. Dal jazz al rock, passando dalla classica al pop. La birra è da sempre imparentata con la musica. Da dove nasce questa tradizione?

Forse dai pub inglesi – i primi institutional places – dove la gente si incontrava, chiacchierava, ascoltando musica dal vivo. Si parla di storia antica, i primi pub anglossassoni risalgono al XIV° secolo, istituiti su ordine di Re Riccardo III°, per offrire cibo e alloggio ai viaggiatori. Da lì si passa a offrire ai clienti birre da loro stessi prodotte, nascono le brewery.

Il connubio sbarca in Italia e si radica bene nei luoghi di incontro con una fitta constellazione di festival, manifestazione ed eventi; le birre artigianali, in un momento che possiamo considerare una vera e propria age d’or, non si lasciano di certo sfuggire l’occasione.

Questo – e qua arriva il marketing – i grandi eventi diventano un mezzo di comunicazione molto penetrativo, non per nulla un noto marchio brassicolo (ma questa volta di stampo industriale) dà il nome a un omonimo festival.

A parte questo, musica & birra sono un binomio sempre vincente, basti pensare al Beer Attraction, che si tiene alla fiera di Rimini e offre un programma variegato e interessante di concerti. Esistono altri eventi – anche se di minore cabotaggio – ma vale sempre la pena seguire come Drink With – Musica a piccoli sorsi, del birrificio San Biagio di Nocera Umbra, che offre, oltre ai prodotti del birrificio esibizioni di jazz sperimentale. Proprio lì siamo andati a curiosare partendo dalla Monasta, una doppio malto dal colore ambrato, preparata con malto d’orzo distico primaverile, luppolo e lievito, con l’aggiunta di miele e alloro. Gusto equilibrato, in cui si fanno largo i sentori di caramello e di nocciola, assieme ad aromi di miele e alloro, delicatamente amaro; per passare alla Ambar, Strong Ale, birra scura di grande raffinatezza, che si distingue per il suo gusto delicato, con note di cioccolato fondente, liquirizia e spezie. Una birra da meditazione. Concludiamo con tre birre; la prima: Gaudens, una pils delicata ma intensa, per piatti strutturati. La Verbum, una weizen, birra resa quasi bianca dai lieviti, con venature verdastre e particolarmente fruttata e infine la Aurum birra chiara doppio malto, dotata di colore dorato, di marcata dolcezza, dai toni fruttati e luppolati. Con una leggera presenza di spezie, tipicizzata dall’alta fermentazione. Buona Musica e drink with… beh! Quello che vi pare a voi!

 

 

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