Cookin' Music

Ascolta, mangia , bevi

SE03-05 La mia Birra suona il Rock!!!

Cristiano Paspo Stella, il cantautore, Massimiliano Pini, il cuoco clandestino e Piergiorgio Ronchi, il beer sommelier, tornano in cucina per la seconda stagione di COOKIN’ MUSIC. Le materie prime sono sempre di grande qualità: musica, food culture e birre dal mondo

 

“Io credo che una ricetta sia solo un tema musicale, che un cuoco intelligente può suonare ogni volta con una variazione”.

                                                                                                                                                                                                                                     [Anonimo]

 

Se il cibo è una determinante umana cantanti o band non si sono fatti mancare l’ispirazione cogliendola da un ingrediente o da una ricetta. Per un pezzo, per il nome d’arte o per un concept. In questo Cookin’Music  Speciale vogliamo fare una carrellata spericolata di artisti e gruppi che hanno a che fare con il cibo e raccontarvi anche qualche aneddoto curioso.

Partiamo dal notissimo Marshall Bruce Mathers III, ovvero il rapper che si è fatto chiamare anche Marshall Mathers o Slim Shady ma che tutti conoscono come Eminem. Eminem deriva dal primo nome degli esorti M&M, che altro non era che le iniziali del nome Marshal Mather, ma che si riferiva, anche, al nome del noto snack em and em, che poi, storpiato, divenne Eminem.

Il polpettone: ovvero Meat Loaf; qua le origini del nome sono indefinite; lo stesso artista ne ha raccontato diverse versioni. Quella più accreditata è che alla nascita, il bimbo-meat avesse la pelle sempre rossa e la madre ironizzava con il padre che quel bimbo sembrasse proprio un pezzo di carne, e come se ci avessero attaccato sopra un’etichetta avrebbero potuto esporlo sul bancone di una macelleria. Loaf sarebbe arrivato qualche anno dopo, durante la scuola, dove un coach irritato gli disse in malo modo di allontanarsi apostrofandolo pezzo di polpettone!

Molti pensano che il nome d’arte di Fiona Apple, derivi da un omaggio alla sua città: New York, ovvero the Big Apple: la Grande Mela. In realtà Apple è proprio il suo secondo nome – la cantante si chiama effettivamente Fiona Apple Mc Fee Maggart; forse un po’ troppo lungo e artisticamente accorciato in Fiona Apple.

Continuiamo la nostra carrrellata con il gruppo dei fagioli dall’occhio nero: i Black Eyed Peas. In America si associa questo legume al cosiddetto soul food; probabilmente anche Mr. Taboo fece la stessa associazione per dare una svolta al gruppo, che era in crisi, passando da nome originale di Black Eyed Pods a quello che oggi è noto e conosciuto.

Altro gruppo – impossibile non citarli – sono i Red Hot Chili Pepper. Il cantante Antony Kiedis racconta che il nome fu scelto per rimarcare la differenza tra la musica della band rispetto a quella suonata dagli altri gruppi; tutti mettevano le parole red e hot, oppure chili o pepper nel loro nome; ma nessuno aveva mai pensato di metterli tutti insieme. Meglio del primo nome della band: Tony Flow e le Miraculously Majestic Masters of Mayhem (sic).

Ice Cube, ovvero il cubetto di ghiaccio il celebre rapper dice che il nome gli venne affibbiato dal fratello quando lo minacciava durante i frequenti litigi (solitamente centrava il gentil sesso). Lo avrebbe messo dentro in freezer e trasformato in un cubetto di ghiaccio.

Dal freddo al freddo ecco Vanilla Ice al secolo Rob Van Winkle che deve il suo nome al fatto che era l’unica ragazzo bianco del quartiere a fare break dance. I suoi compagni lo chiamavano vaniglia per il colore della pelle. La parola Ice invece deriva da una sua figura di break simile ad una scivolata sul ghiaccio. Una figura abbastanza difficile da eseguire, ma molto richiesta dai suoi compagni; infatti lo incitavano gridando: “Vanilla do the Ice!”. Messe insieme le due cose il gioco era fatto.

Se italianizzato appare un po’ ridicolo – I Mirtilli – in inglese suona decisamente meglio: ecco i Cranberries forse uno dei gruppi più famosi degli anni ’90, la cui storia si è interrotta troppo presto per la prematura scomparsa della cantante Dolores O’Riordan. La prima versione del nome era Cranberry Saw Us, un riferimento alla celebre salsa anglosassone e anche al pezzo a Strawberry fields dei Beatles.

Un po’ meno poetica la derivazione del nome Cake. Il cantante John Mc Crea, scelse il nome riferendosi non tanto al dolce quanto al significato letterale di cake, cioè un qualcosa che si insinua nella tua vita. Un doppio significato di qualcosa di sporco che si incrosta; non per niente anche in italiano vengono chiamate torte le deiezioni dei bovini. Rimanendo in tema di dolci (ma quelli veri) ci sono i Cream – nella traduzione di panna – la formazione di Eric Clapton, Ginger Baker e Jack Bruce. Il nome viene da the cream of the crop che potremmo dire la crème de la crème, o in italiano il meglio del meglio. Modesti vero? Però musicalmente niente da dire…

Prima erano le Touch, poi dopo innumerevoli discussioni con il loro manager il nome fu cambiato in Spice Girls ovvero le ragazze speziate; nome che ben rappresentava le loro differenze. L’intuizione sul cambio di nome venne a Geri Halliwell (Ginger Spice); pirma solo come Spice; ma il nome era già preso da un’altra band, si optò per abbinarlo a girls. Al di là dei giudizi le Spice Girls possono essere considerati uno dei gruppi pop più celebri degli anni ’90.

Concludiamo con la coppia formata Miho Hatori e Yuka Honda ovvero le Cibo Matto. Il duo si affermò nei night club di New York con la loro divertente satira musicale, ispirata alle varietà di prodotti dei supermercati americani. Pezzi che sono novelty strillate su arrangiamenti casuali, assemblando jazz, hip-hop, funk e dissonanze; Cibo Matto since 1995.

 

Grazie per averci fatto compagnia in questa carrellata abbiamo volutamente citato – ma ce ne erano molti altri – gruppi degli anni ’90; un periodo di forti cambiamenti che avrebbero condizionato anche gli inizio dello zerozero, con l’affermazione dell’hip hop e dell’r&b, per poi virare di brutto con il grunge, la musica popolare si apre proprio a tutti con anche i fenomeni della boy band e delle girl band che abbinano estetica, bellezza e molteplici fenomeni di costume, ma la musica non si ferma e ne vedremo ancora delle belle!!!

Sa da una parte abbiamo gruppi musicali che rimandano al cibo ci cimentiamo con birre che hanno a che fare con gruppi musicali… Riprendiamo un articolo che ci ha incuriosito trovato in rete sul Giornale della birra: La mia birra suona il Rock! a firma di Alessia Baruffaldi.

Partiamo da una considerazione artisti e band hanno sempre dato molta importanza al merchandising: t-shirt, poster, spille (di cui sono appassionato culture e collezionista) e altra gadgettistica varia, si approccia una nuova frontiera del merchandising: le birre griffate. Un sodalizio nato dalla collaborazione di birrifici più o meno noti (anche più o meno artigianali), ed ecco a voi il gadget 2.0, servito e pronto da gustare.

Tenete presente che il matrimonio birra e musica ha da sempre svolto un ruolo simbolico all’interno dell’industria musicale: la birra è da sempre la bevanda prediletta da gustare durante gli show, sia da parte del pubblico che degli stessi artisti tra un brano e l’altro per bagnare l’ugola affaticata.

Nell’immaginario collettivo, la birra è sempre stata sinonimo di ROCK!.

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Partiamo dalla Trooper (Iron Maiden). Birra notissima anche per la sua facile reperibilità, una Golden Ale ideata direttamente da Bruce Dickinson e messa a punto nel birrificio inglese Robinson. Il rimando è facile al singolo omonimo del 1983; così ne scrisse Dickinson:

“Sono un estimatore di lunga data delle tradizionali ales inglesi, e quando ci è stato proposto di creare la nostra birra, credevo di essere morto e finito direttamente in paradiso. Ero molto emozionato. Il tocco magico dei Robinson ha reso possibile l’unione alchemica di gusto e struttura che forma la nostra Trooper. La adoro”.

Passiamo alla Destroyer (Kiss), prodotta dal birrificio svedese Krönleins Bryggeri, una lager che prende il nome dal quarto album di Gene Simmons & soci. Dicono gli esperti: una birra molto standard rispetto alle altre lager, ma sicuramente un cimelio da conservare per collezionisti e appassionati della band.

La Budweiser Metallica (Metallica). Qua il connubio è direttamente con il colosso Budweiser. Una birra in lattina completamente nera che richiama il loro Black Album. Edizione limitata e distribuzione gratuita in occasione di poche date selezionate del tour del 2015. Il massimo per i fans! Prodotta da Labatt (la succursale canadese della Bud), è diventata subito oggetto di caccia massiccia da parte dei fans e dei collezionisti di tutto il mondo, arrivando anche ad essere venduta su Ebay alla modica cifra di 120 dollari per una confezione di 24 lattine. Stiamo sempre parlando di un gadget visto che la birra in sé per sé non si discosta molto dalla classica Budweiser dall’etichetta rossa – il nome della birra è seguito dalla tag line Couléedans le Rock, che letteralmente significa colata nel rock.

Ed ecco la Faithfull Ale (Pearl Jam). Birra lanciato per la celebrazione del ventennale della band dal birrificio Dogfish Head con la collaborazione di Eddie Vedder. Il nome è preso dal pezzo contenuto nell’album Yield del 1998; Golden Ale in stile belga, dal sapore fruttato e con la presenza di ribes nero.

Questa birra non si tocca! Queen Bohemian Lager (Queen) del 2015, creata per il quarantennale del brano Bohemian Rhapsody nonché in onore di Freddie Mercury; una pilsner prodotta dalla Schwarzenberg brewery di Protivín (in Boemia, azz!!!…), utilizzando esclusivamente prodotti locali. Sull’etichetta, campeggia lo stemma storico dei Queen, ideato dallo stesso Mercury durante gli anni di scuola.

Altro Gruppo indiscutibile. Australian Hardrock (Ac/Dc). Gli Ac/Dc, per altro già produttori di una linea di vini nel 2013, si lanciano in questo prodotto con la tag line Birra tedesca, hardrock australiano. La confezione richiamo il loro album Black Ice del 2008.

”Una lager infiamma la lingua come TNT, procede con un sapore amato dai grandi appassionati di birra ed è prodotta seguendo il manifesto del Rock’n’roll del 1973 e la Legge di Purezza tedesca del 1516”. Curioso come questo prodotto della Karlsberg Brauerei di Homburg (Germania), più che sembrare una lager tedesca sembra più una foster australiana; cosa che ha fatto storcere il naso a qualche purista del genere.

 

Andando sempre più a fondo dell’hard rock ecco la Bastards Lager (Motorhead). Birra lanciata nel 2012 dalla svedese Krönleins, e promossa dalla stessa band: “Per tutti i bevitori di birra e gli attaccabrighe, fans del rock & roll più rumoroso e veloce, non importa se non avete classe o se siete un caso disperato, questa lager ad alta prestazione è carburante per ogni occasione di headbanging”.

Il nome della birra riprende l’album del 1993 e, qualcuno del settore, l’ha definita la birra in bottiglia più forte mai creata; non tanto per il suo modesto grado alcolico (non si supera il 5%), quanto per la sua commistione curiosa di sapori che vanno dal fruttato fino ad arrivare a un potente gusto di malto.

Proseguendo ecco a voi la 666 Red Ale (Slayer), da non confondersi con una omonima limited edition di Dickinson; la birra degli Slayer è prodotta dal birrificio svedese Nils Oscar; si tratta di una rossa caratterizzata dalla presenza di cinque malti differenti e dal perfetto equilibrio dei luppoli El Dorado e Mosaic. Non facile da reperire, infatti è prodotta per il solo mercato svedese. Tom Araya, al quale è stato domandato se la birra rappresentasse pienamente lo spirito della band ha risposto: “Ha un sapore autentico. Quindi sì, sa di Slayer! Quando ci siamo avvicinati all’idea di produrre una birra, la mia preoccupazione maggiore era che fosse buona e la nostra Red Ale lo è. Spero che piaccia a tutti i nostri fans”.

La birra è nata in stretta collaborazione tra la band e il mastro birraio Patrick Holmqvist, che ha affermato come gli anni passati ad ascoltare e apprezzare la musica della band thrash metal siano stati di importante ispirazione per racchiudere in bottiglia l’intero universo Slayer.

Continuiamo la nostra turnè: Sepultura Weizen (Sepultura). Birra nata per celebrare i 25 anni della band brasiliana, curiosamente si è scelta una delicata Weizen di classico stampo tedesco. Il gemellaggio tra Bamberga e la ditta di importazione brasiliana Bushido, ha dato vita a questo prodotto, venduto in una bellissima confezione a forma di amplificatore. Il sapore richiama molto i sentori di banana e chiodi di garofano.

XXV Anniversary Imperial Stout (Opeth). Sempre in tema di venticinquennali anche la band progressive metal svedese ha deciso di festeggiare il proprio compleanno con una birra celebrativa. Collaborazione con il birrificio inglese Northern Monkey Brew Co. la birra è una Imperial Stout da 9,2% vol. dieci tipi di malti differenti selezionati dal mastro birraio Russell Bisset, in edizioni super limitata. “Gli Opeth sono spesso colonna sonora delle nostre birrificazioni, e quando si è presentata l’occasione di poter collaborare con loro, non ce la siamo fatta sfuggire. Nei loro 25 anni di carriera hanno fatto lo stesso percorso di ricerca e sperimentazione di alta qualità in campo musicale, nello stesso modo in cui lo abbiamo fatto noi in campo birrario. Volevamo creare una delle più significative collaborazioni tra un birrificio e una band: per questo ci siamo rinchiusi in uno stanzino e abbiamo provato insieme diverse combinazioni, fino a quando siamo arrivati a scegliere la ricetta migliore”. Mikael Åkerfeldt ricambia: “Per prima cosa siamo musicisti. Dopo di questo, siamo estimatori della birra di qualità. Amiamo la buona birra. Abbiamo avuto diverse proposte per realizzare un nostro prodotto alcolico, ma abbiamo sempre rifiutato. Con il grande lavoro della Northern Monkey Brew, però, non abbiamo potuto rifiutare”. Tra l’altro la collaborazione tra gli Opeth e la Northern Monkey continua tuttora. Questo matrimonio all’ora sa da fare!

Vi lasciamo con le parole di Frank Zappa:  “Un Paese è veramente un paese quando ha una compagnia aerea e una birra… ma alla fine è di una bella birra che si ha più bisogno”.

 

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