Tra le pià attese

Torna Verdi al Sociale con “Il Trovatore”

Di quella pira l’orrendo foco Tutte le fibre m’arse avvampò!… Empi spegnetela, o ch’io tra poco Col sangue vostro la spegnerò…l’immagine di Lucaino Pavarotti, spada sguainata, che arringa i soldati (A pugnar teco, teco a morir), ci dice subito che Il Trovatore è un dramma epico di cappa e spada. Le vicende narrate nell’opera sono una vera summa di quelle passioni che Verdi cercava in quegli anni, Amore, Gelosia e Vendetta, tanto che il critico musicale inglese Julian Budden ebbe ad affermare “Con nessun’altra delle sue opere, neppure con il Nabucco, Verdi toccò così rapidamente il cuore del suo pubblico”. 
Secondo titolo della trilogia popolare, dopo Rigoletto e prima di Traviata, scritte e rappresentate nello stretto spazio temporale tra il 1851 e il 1853, furono tre clamorosi successi fin dalle prime rappresentazioni a  conferma delle intuizioni di Verdi. La prima andò in scena il 19 gennaio 1853 al Teatro Apollo in una Roma allagata a causa dello straripamento del Tevere e dopo i litigi tra le due primedonne, Rosina Penco ed Emilia Goggi.

Il trovatore ritorna in scena al Teatro Sociale di Como all ’interno della stagione lirica 2021/2022 del circuito di OperaLombardito, giovedì 2 dicembre e  sabato 4 dicembre alle ore 20.00. Regia e direzione d’orchestra sono in questa produzione affidate a due giovani talenti del panorama italiano: Roberto Catalano e Jacopo Brusa, le scene sono di Emanuele Sinisi, i costumi di Ilaria Ariemme, le luci di Fiammetta Baldiserri. L’opera si impernia sulla rivalità per amore della giovane Leonora fra il trovatore Manrico e il Conte di Luna, fratelli a loro insaputa. Ad interpretare i personaggi principali ci sono Matteo Falcier nei panni di Manrico, Leon Kim in quelli del Conte di Luna, Marigona Qerkezi è Leonora, Alessandra Volpe Azucena.

trovatore

Il trovatore è uno dei capolavori verdiani, che, come Nabucco o Aida, è amato e atteso dal pubblico per le celebri arie e le cabalette, per il pathos, i coups de théâtre, per momenti drammaturgici sorprendenti e abbinati a pagine di una partitura travolgente, quasi a precedere quella fusione tra parola, suono e azione scenica, che diventerà ambizione primaria nel collega e rivale Richard Wagner.

La trama, abbastanza complessa, ed è attinta da El trovador del drammaturgo spagnolo Antonio García Gutiérrez  che ambientò la storia tra la Biscaglia e l’Aragona, all’inizio del XV secolo. Il libretto dell’opera verdiana, commissionato al poeta napoletano, Salvatore Cammarano, venne ultimato, dopo la morte di quest’ultimo da Leone Emanuele Bardare. Un luogo comune vuole che sia impossibile riassumere le vicende del Trovatore, tante sono le allusioni, i misteri, le ossessioni, le recriminazioni e le motivazioni nascoste nel passato dei personaggi.

Il trovatore di Giuseppe Verdi arrivò a Como per la prima volta nel Carnevale del 1855, venne poi messo in calendario altre dodici volte, l’ultima, nella stagione 2006/2007. Negli annali del Teatro c’è anche una locandina con il nome  del tenore Aureliano Pertile, nella parte di Manrico, diretto da Piero Fabbroni.

Ricordiamo l’incontro per il pubblico Aspettando … Il trovatore a cura di Stefano Zignani, in collaborazione con il Conservatorio di Como, domenica, 28 novembre alle ore 11.00, in Sala Bianca, ad ingresso libero, fino ad esaurimento posti disponibili; si accede tramite controllo del Green Pass.

trovatore

Teatro Sociale di Como
Giovedì 2 dicembre 2021, ore 20.00
Sabato 4 dicembre 2021, ore 20.00

Il trovatore
Dramma in quattro parti
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Salvadore Cammarano, Leone Bardare

Prima rappresentazione
Teatro Apollo, Roma, 19 gennaio 1853 Ed. RICORDI

Manrico Matteo Falcier
Il Conte di Luna Leon Kim
Leonora Marigona Qerkezi
Azucena Alessandra Volpe
Ferrando Alexey Birkus
Ines Sabrina Sanza
Ruiz Roberto Covatta
Direttore Jacopo Brusa
Regia Roberto Catalano
Scene Emanuele Sinisi
Costumi Ilaria Ariemme
Luci Fiammetta Baldiserri
Assistente alle Scene Francesca Sgariboldi
Assistente alle Luci Oscar Frosio
Maestro del coro Diego Maccagnola
Coro OperaLombardia
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Coproduzione Teatri di OperaLombardia
Allestimento ripreso dalla produzione dell’Ente Concerti “Marialisa De Carolis” di Sassari

Note di regia a cura di Roberto Catalano
Siamo in un luogo dove qualcosa è successo. Un luogo dove il fuoco ha distrutto ogni cosa. La fiamma ha attraversato la bellezza che un tempo vi dimorava e ne ha ucciso ogni possibile testimonianza.
Resta l’ossame di quel mondo e l’immagine del vecchio progetto, ciò che doveva essere quel mondo prima del disastro, lo scheletro su cui costruire il nostro luogo da abitare. Questo progetto è sotto gli occhi dello spettatore da subito, quasi fosse un promemoria dello sforzo compiuto prima della sua realizzazione. Come se facessimo coincidere il progetto di un palazzo bellissimo con la fotografia della sua distruzione. È un ricordo, è lo strazio della memoria che continua a bruciarci i pensieri, è la compresenza di ciò che era e di ciò che non c’è più. Così questa storia comincia, in un mondo compromesso, dove il trauma di Azucena, amplificato sulla scena, ha investito la vita di chi vive in una stanza completamente sommersa dai resti di un mondo perduto. Una libreria che non ha smesso di bruciare ci rimanda all’ impossibilità di verificare che le cose qui narrate siano davvero accadute. Gli uomini che abitano questo posto vivono nella completa solitudine, errando sulla terra deserta e nera, intrappolati nella storia che non li lascia andare. È la storia di un dolore doppio e terribile. La storia di una donna che ha visto morire la madre e che per errore ha arso vivo il proprio figlio. Il fuoco è l’assassino, l’immagine che si è impressa negli occhi al punto da sostituirsi al mondo tutto intero. Azucena, così come tutti gli abitanti di questa storia, si muove sopra i resti che quel fuoco ha lasciato dietro di sé, e il suo incedere passo dopo passo nel mare nero che le ricorda tutto, le brucia ancora la pelle. Le sue mani, come un aratro, solcheranno la terra ricoperta di cenere scoprendo la luce che vi si nasconde, perchè bisognerà scavare per disseppellire il mondo che era e trovare una ‘pace bianca’ che possa tornare a far respirare tutti. È la rimozione di un trauma. La pulizia definitiva di un’anima fortemente compromessa dal dolore. La ricerca della luce che ognuno di noi possiede e che è seppellita sotto il peso delle colpe. I resti bruciati che vengono rimossi non sono mai abbastanza, e il bianco che giace sul fondo lo si può solo intravedere, Mucchi di sporco vengono prelevati a tempo dagli zingari, con le donne che incitano gli uomini a fare un buon lavoro. In quel mondo bisognerà abitarci per sempre e, per sempre, si sarà condannati forse ad operare questa rimozione. Come ci fosse, sulla pelle di ciascuno, l’impronta di un peccato da dover espiare.
Ognuno col suo peso. Ognuno con la propria colpa. Azucena rivive il trauma di quella doppia morte di continuo. La sua realtà, filtrata da occhi ormai morti, è quella che ciascuno di noi vede. Ciò che le è accaduto è talmente potente che ha involontariamente toccato tutti. Solo Leonora potrà liberarli.
Soltanto la sua morte potrà davvero rendere possibile questo amore che altrimenti, soffocherebbe sotto la cenere come tutto questo mondo che agonizza. Sarà così che deciderà di offrirsi all’uomo che da tempo brama di possederla. Al cospetto del Conte di Luna, infatti, offrirà sé stessa in cambio della libertà, in cambio di una breccia nel muro, di uno spiraglio di luce che consenta a Manrico di fuggire via da questa ‘tomba di vivi’. Il suo sacrificio, questo amore che in questo mondo non trova spazio, potrebbe liberarli tutti. Nessuno però ha tempo di vedere che la via è schiusa; che, finalmente, tutto il mondo è in luce. Al cospetto della definitiva libertà, si resterà immobili e inermi. Ciascuno impegnato con la propria rabbia, con la grande stanchezza che questo vivere comporta, perchè i personaggi di questa storia non compiono alcuna evoluzione. Sono immobili. Si fanno voce di un passato perduto e di un futuro che forse non vedranno mai. Il racconto è un graduale svelamento del loro vissuto, di un antefatto a noi celato, di battaglie combattute lontano dalla scena, di dolori talmente forti da essere indicibili. Ciascuno con la propria coltre di cenere addosso e questo tentativo, ostinato e perpetuo, di rimuovere lo sporco per disseppellire la purezza perduta. Come ciascuno di noi, nel rapporto coi dolori da cui cerchiamo di liberarci, con le colpe da cui vogliamo ripulirci. Alla fine di questa storia, Manrico viene mandato a morire e gli occhi di Azucena si posano su un altro omicidio: “Egli era tuo fratello”, urla la zingara al Conte che finalmente entra in possesso della verità. Quell’uomo è ora un omicida. Il trauma col quale deve convivere adesso, è soltanto il suo. Azucena vendicando la madre spegne in parte il suo dolore. Leonora e Manrico, liberandosi nella morte, sono gli unici esseri umani di questa storia ad essersi salvati. Il conte, pur sopravvivendo, è destinato alla peggiore delle condanne: quella delle anime morte condannate alla vita. 

 

 

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