Cultura

Dante, Terzine from… Cuba. Anche Dante, a volte, restò senza parole

casa della poesia dante terzine

Nel viaggio che in questi mesi la Casa della Poesia di Como sta imbastendo per legare i poeti di tutto il mondo a Dante Alighieri, una domanda sorge spesso spontanea. Cosa accomuna questi poeti tra di loro e con il “sommo poeta” della letteratura italiana? A questa domanda prova a rispondere nella nuova puntata di “Dante: terzine from the world” Víctor Rodríguez Núñez, che sceglie di leggere il canto XXXII dell’Inferno. Víctor Rodríguez Núñez di origini cubane ha vissuto in Nicaragua e Colombia, è critico letterario e ha vinto importanti premi di Poesia, tra cui il prestigioso Premio Internazionale della Fondazione Lowe in Spagna.

Ma prima di scoprire cosa questo poeta cubano abbia scorto di così personale nel XXII canto dell’Inferno, scopriamo quali versi ha scelto per il progetto de La Casa della Poesia di Como:

 

Canto XXXII, Inferno, v.1-15

S’io avessi le rime aspre e chiocce,

 

come si converrebbe al tristo buco

 

sovra ’l qual pontan tutte l’altre rocce,                 

 

io premerei di mio concetto il suco

 

più pienamente; ma perch’io non l’abbo,

 

non sanza tema a dicer mi conduco;    

 

ché non è impresa da pigliare a gabbo

 

discriver fondo a tutto l’universo,

 

né da lingua che chiami mamma o babbo.           

 

Ma quelle donne aiutino il mio verso

 

ch’aiutaro Anfione a chiuder Tebe,

 

sì che dal fatto il dir non sia diverso.                  

 

Oh sovra tutte mal creata plebe

 

che stai nel loco onde parlare è duro,

 

mei foste state qui pecore o zebe!    

 

In questo canto Dante si trova a pochi passi dal IX cerchio infernale e, come spesso capita nell’esistenza di ciascuno, si trova senza parole per descrivere l’orrore cui sta assistendo. Secondo la più antica tradizione dei poeti classici, Dante trova come unica soluzione quella di invocare le Muse, protettrici del canto poetico, perché lo aiutino a disegnare in versi ciò che i suoi occhi registrano come infernali immagini. Per trasmettere al lettore la brutalità del IX cerchio però servirebbe un linguaggio duro e aspro, solo così, pensa Dante, anche chi non è al suo fianco potrebbe sentirsi presente alla scena. Il linguaggio è l’arma principale di un poeta, è il pennello col quale si è chiamati a dipingere il mondo, ma non sempre si adatta alla situazione che si vorrebbe inserire nell’armoniosa gabbia dei versi. È proprio questa la paura che Dante prova di fronte al IX cerchio e che qui esprime con travolgente sincerità: come posso io, Dante, col mio linguaggio delicato, farmi messaggero di questa scena così dura? Non sembra di essere di fronte a uno dei poeti più grandi di tutti i tempi, leggendo queste terzine, ma di immedesimarsi nei pensieri di uno studente alle prese con un tema scolastico, intento a chiedersi se la sua penna sarà all’altezza o meno dell’argomento richiesto dal professore.

È questo aspetto delle terzine scelte che Víctor Rodríguez Núñez maggiormente apprezza: «Ho scelto queste terzine dal Canto XXXII della Divina Commedia perché sono autoreferenziali, perché rendono esplicita la consapevolezza di Dante Alighieri della poesia e del poeta. Qui non c’è dubbio che, secondo il soggetto poetico, la poesia sia una rappresentazione della realtà». Due quindi i messaggi che da questa manciata di versi Víctor Rodríguez Núñez sembra cogliere. Innanzitutto la capacità metamorfica della poesia di farsi quadro della realtà, con tutte le deformazioni del caso dovute all’intervento della percezione del singolo poeta che scrive.

E in secondo luogo, come ulteriormente approfondisce Víctor Rodríguez Núñez nel suo commento che trovate in versione integrale sul sito de La Casa della Poesia di Como, un elogio della delicatezza, esplicitato dal rimando alla storia di Anfione che proprio nel suo commento il poeta cubano approfondisce. Terzine queste che insomma parlano anche a tutti i poeti di oggi e non solo, anche ai comunicatori e ai giornalisti cui sia capitato o capiterà di trovarsi di fronte a una storia, una situazione, una realtà che sembra più grande di qualsiasi parola usata per raccontarla. Ma come dimostra l’opera dantesca, da qualche parte le parole giuste possono essere trovate, con la pazienza e la dedizione che Dante ancora oggi sa insegnarci.

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Martina Toppi

 

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