Cultura

Dante, Terzine from… Lisbona. Parole vestite di luce

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Ne abbiamo fatta di strada a cavallo delle terzine della Divina Commedia in questo settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri. Abbiamo girato il mondo, grazie alla voce e alla lingua di poeti internazionali che, invitati dalla Casa della Poesia di Como si sono prestati a leggere le loro terzine preferite nella propria lingua madre. Ma soprattutto abbiamo girato il mondo creato da Dante per i suoi lettori, intrufolandoci negli abissi dell’Inferno, aggrappandoci alle scoscese rocce del Purgatorio e oggi, con Maria do Sameiro Barroso, siamo giunti a scorgere da lontano il Paradiso. Il viaggio è ancora lungo e ci continuerà ad appassionare nei prossimi mesi, con le letture di molti altri poeti internazionali, ma per questa settimana godiamoci la pace della meta che si staglia nitida all’orizzonte.

 

«La gloria di colui che tutto move

per l’universo penetra, e risplende

in una parte più e meno altrove.»

 

Maria do Sameiro Barroso da Lisbona sceglie proprio i primi tre versi della terza cantica di Dante per aderire al progetto “Dante, terzine from the world” e li legge in portoghese. Medico, è laureata in filologia germanica e infatti ama tradurre opere dal tedesco e interessarsi di storia della medicina. Con queste terzine, la cui traduzione in portoghese è realizzata da Vasco Graça Moura, insieme a Maria e a Dante siamo travolti dallo stupore. Dopo l’inerpicata ascesa del monte Purgatorio, che come qualsiasi scalata esige sacrificio prima di offrire il dono del panorama dalla cima, siamo giunti di fronte alla gloria della creazione che Dante descrive come una luce capace di far risplendere ogni angolo. È una luce primaverile, quella che abbraccia l’orizzonte di Dante, una luce come quella che possiamo vedere oggi, verso mezzogiorno, spiando fuori dalle nostre finestre. Il viaggio di Dante è il viaggio dell’uomo che va in cerca di qualcosa, nel suo caso della salvezza, consapevole degli abissi che il percorso può toccare e delle salite che talvolta comporta. La luce che Dante scorge arrivato in cima è l’immagine prediletta per raffigurare la natura del divino, capace com’è di penetrare in ogni luogo. Non è un caso che la terza cantica della massima opera di Dante sia stata definita “cantica della luce”, perché è proprio questo l’elemento scelto dal poeta per descrivere quel «mondo felice». Nell’arte sacra medievale il sole, origine della luce terrena, era considerato come simbolo principale della gloria divina che proprio in questa terzina è celebrata. La luce però non è il solo strumento scelto da Dante per descrivere ciò che a stento può essere detto, accanto allo splendore della luce troviamo infatti l’armonia del suono, generato dai movimenti degli astri. Luce e suono, immagine e musica, due dimensioni che non hanno bisogno di parole per comunicare all’uomo, ma che sono capaci di pervadere lo spazio e il tempo trasportando l’osservatore-ascoltatore in una nuova dimensione. Fortuna vuole che l’uomo abbia trovato un’escamotage per condensare immagine, suono e parola in un’unica forma artistica: la poesia. E come la luce, anche la parola poetica è capace di diffondersi capillarmente, troncando nel tempo di una lettura il tempo e lo spazio che ci separano da chi scrive. Oggi quindi, illuminati dalla luce di una giornata di fine primavera, ci sentiamo un po’ in cima a una montagna, ascoltando l’armonia della lingua portoghese di Maria do Sameiro Barroso che riveste questa terzina dantesca.

Martina Toppi

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